Cronache bergantinesi

Celti, barche e paludi fiorite
Provate a fare un esercizio d’immaginazione. Guardate bene Bergantino com’è adesso, nell’anno del Signore 2008 e …cancellate tutto. Togliete le case, i prati, i fossi, le strade, le coltivazioni, i capannoni, i tralicci dell’energia elettrica e ogni altro segno di modernità. Togliete anche la chiesa, il campanile e il municipio ed immaginate al posto di tutto questo una vasta palude, punteggiata da isolotti sormontati da palafitte: ecco come appariva nella preistoria l’insediamento che sarebbe diventato Bergantino, secondo quanto annotò nel suo “Sigillo estense” l’abate Bellini e come confermano resti di queste antiche abitazioni rinvenuti nei paraggi, precisamente nella valle di Ostiglia e nella vicinissima località Torretta (Vr).
In epoca pre-romana, il territorio di Bergantino andò a costituire l’avamposto sud- orientale della Gallia transpadana, successivamente conquistata da Roma nel secondo secolo a.C. .
Informazioni sul territorio di Ostiglia, comprendente Bergantino, ce le fornisce proprio uno studioso romano, Plinio il Vecchio, nella sua “Naturalis Historia”,dandoci anche la possibile origine del nome del paese: gli ostigliesi, scrive infatti, scendevano il fiume su piccole barche su cui erano montate delle arnie, dalle quali le api uscivano all’alba per rientrare al tramonto con il loro bottino di polline, da cui sarebbe stato ottenuto il prezioso miele. Importante notare che il vocabolo latino “brigantinum” significa per l’appunto “piccola nave”e sarebbe riferito al predetto tipo d’imbarcazione. Un’ipotesi più recente, invece, collega il toponimo ai Celti: in seguito al ritrovamento di tracce di un’ insediamento gallico ubicato nel nucleo più antico del paese, la località “Mariconda”, si è opinato che la zona possa essere stata abitata da una tribù di Celti, noti come “Brigantii”, originariamente stanziati intorno al lago di Costanza, sulle cui rive austriache sorge “Bregenz”, l’antica “Brigantium”. Da lì, parte della tribù avrebbe potuto agevolmente scendere in pianura Padana attraverso le valli dell’Engadina e dell’Adige.
Un’ultima proposta, graziosa ma poco attendibile, riconduce il nome di Bergantino all’espressione greca “brakous anthos” dal poetico significato di “palude fiorita”.

Nel segno di Roma
Come detto poc’anzi, l’Ostigliese, dunque anche Bergantino, entrò a far parte del territorio romano, venendo circoscritto nella prefettura di Verona. Il cristianesimo si diffuse in questa zona soprattutto grazie all’energica opera di san Zenon, che fu vescovo della città a partire dal 326. Secondo il Cantù, una cappella dedicata proprio al vescovo santo fu costruita in quello che era allora conosciuto come “Bergantinello”, sulla strada di san Michele verso Bergantino Maggiore (Mariconda).

Sudditi del Signore
Tramontato l’impero romano, l’unico potere ad essere rimasto stabile e solido fu quello ecclesiastico, tant’è che il nobile longobardo Anselmo, che aveva ricevuto in eredità dal padre gran parte dei possedimenti ostigliesi, si fece monaco benedettino, fondando a Nonantola un monastero destinato a divenire celebre e prospero. Numerose famiglie vi giunsero per lavorarne le terre, riconoscendo nell’abate il loro assoluto signore e padrone. Il nome “Bergantino”, leggermente diverso, appare per la prima volta in un documento del 1030, col quale l’abate Rodolfo cedeva a Pietro, abate di San Silvestro di Pavia e ad Adelasia, moglie di Alberto de Bojaria, vigne, boschi e paludi in luogo detto “Brachantinum”, nel territorio di Ostiglia.

Tutti Ferraresi
Nel 1132, il monastero cedette in pegno i propri possedimenti al comune di Ferrara, per un motivo che non ci è dato sapere. La pignorazione terminò nel 1172, ma il fondo era divenuto di difficile gestione, tanto che in quello stesso anno, con atto notarile l’abate di Nonantola Alberto II concesse al vescovo di Ferrara, Amato, i paesi di Ostiglia, Bergantino Maggiore, Bergantinello e il Canton. Il vescovo pensò bene di fondare una parrocchia, chiamata di S.Michele, in Bergantino Maggiore ed ebbe così inizio la dominazione ferrarese destinata, con alterne vicende, a prolungarsi per ben 627 anni, lasciando così una decisa impronta linguistica e culturale.

All’ombra del castello
A detta del Cappellini, il castello conosciuto come “Castro Brigantino”, era stato fatto edificare dall’abate di Nonantola Rodolfo, per poi passare nelle mani del nuovo proprietario, il vescovo di Ferrara.Conquistato dal ghibellino Salinguerra II
de’ Guramonti del Consiglio di Ferrara, il castello fu riarmato nel 1207. Il Bellini annota che il castello fu oggetto di contese nella rivalità tra Ferraresi e Veronesi, subendo parecchi danni e che venne definitivamente distrutto dai veneziani nel 1482.

Addio Vescovo, arrivano i Conti
Nel 1451 il nobile Giovanni Romei venne investito del Contado di Bergantino da Borso d’Este, per poi ricevere dal pontefice Pio II il titolo di “Conte di Bergantino”e divenirne definitivamente proprietario nel 1477. L’epoca non era certo delle più felici, a causa degli scontri tra Veronesi e Mantovani coalizzati contro i Ferraresi. Come abbiamo già avuto occasione di trattare, la successiva guerra tra Ferraresi e Veneziani portò alla rovina del castello.
Tutta la comunità bergantinese fu eretta a parrocchia nel 1507 e in quanto tale divisa dalla giurisdizione di Melara. Quello stesso anno venne costruita la prima chiesa parrocchiale, con cimitero annesso, a spese di Annibale Romei. L’ultimo erede della famiglia Romei, Francesco Gaetano, morì ancora bambino nel 1753, perciò il contado passò a sua madre Margherita Cicognara, che a sua volta lo lasciò in eredità al nipote Leopoldo Cicognara. Il discendente Francesco vendette i beni di famiglia al dottor Carlo Diani nel 1841.

L’Austria ci mise lo zampino…e da Ferraresi si diventò Veneti
Adesso occorre fare un passo indietro, per la precisione al 1776, quando napoleone conquistò Bologna e Ferrara, che unite a Modena e a Reggio andarono a formare la Repubblica Cispadana. Fu così che anche Bergantino divenne possedimento francese, aggregato al Dipartimento del Mincio. Tuttavia, il dominio dei cugini d’oltralpe, malissimo sopportato dai Ferraresi, era destinato ad avere vita breve. Come raccontato da Gaetano Zoccoletti, nelle opere storiche custodite presso l’archivio parrocchiale di Ostiglia, gli agguerriti paesani, spalleggiati dagli Austriaci, “…tutti armati di sciabole, schioppi, bastoni di legno ed altri attrezzi, han concertato la maniera di liberarsi da sé di tali importuni ospiti”. Il furore popolare ebbe la meglio sui Francesi, ma non costituì affatto l’anticamera dell’indipendenza. Gli Austriaci, infatti, accorparono Bergantino a Melara, Ostiglia, Serravalle, Libiola e Roncanova, inquadrandoli come “Terzo distretto Mantovano”e recidendo così definitivamente l’antico legame con Ferrara. Sconfitto napoleone, il Congresso di Vienna (1815) sancì il passaggio di tutti i territori transpadani ferraresi al regno Lombardo-Veneto e Bergantino entrò a far parte della provincia del Polesine, con Rovigo capoluogo.

I briganti che battevano la pergolina
Il periodo che seguì il cambio di “regione” fu caratterizzato da una miseria estrema: a tormentare gli abitanti provvedevano le tasse statali, le perduranti decime padronali, le scorrerie soldatesche , i rastrellamenti di polizia, le alluvioni, la malaria, il colera e naturalmente la denutrizione. A questo quadro desolante si aggiungeva il periodico vagare dei briganti, che di notte battevano con una pertica alle finestre dei casolari, costringendone gli occupanti a consegnare quanto richiesto, pena la morte, Questo modo d’agire prese l’appellativo di “battere la pergolina”. L’ultimo delitto compiuto dai briganti risale al 1851: i colpevoli furono catturati e giustiziati, come testimonia il registro dello stato civile di Este.

Bergantino ai tempi del colera
La peggiore epidemia di colera che colpì Bergantino si diffuse nel 1855. Numerosi medici, religiosi e politici promulgarono regolamenti al fine di istruire la popolazione sui modi di prevenire e curare il morbo. Una delle istruzioni detta: “…Nulla si perda del sonno tanto necessario. Si vada a letto più presto del solito”. Da ciò si deduce quanto dura fosse la vita in questi poveri paesi e quanto si lavorasse, anche nel pieno dell’afosa estate della Bassa- che di certo non è cambiata.

Tutti Italiani
L’infelice situazione non migliorò con l’entrata a far parte del regno d’Italia, nel 1866. Gli esausti abitanti, sperando di potersi risollevare almeno di un tantino da quella grama condizione, tentarono senza successo di riunirsi alla provincia di Ferrara. A molti non restò che emigrare: dal 1881 al 1907, ben 1412 residenti lasciarono il paese alla volta del Brasile, ma ciò che li attendeva nelle piantagioni di caffè era un’esistenza ancor più difficile che in Polesine. Chi restò si trovò a fare i conti con l’ulteriore sconquasso delle due guerre mondiali, soprattutto della seconda che, come in tutto il nord Italia, fu lunga e sofferta.

Un compositore bravo e sfortunato
Tralasciamo per un po’ le vicende collettive per rendere omaggio ad un concittadino illustre, a cui Bergantino diede i natali il 15 Luglio 1852: Stefano Gobatti.
Dimostrata fin da piccolo una spiccata predisposizione per la musica, studiò a Bologna alla scuola del maestro Giuseppe Busi e fu in seguito allievo del maestro lauro Rossi, direttore del Conservatorio di Milano, per poi diplomarsi al Conservatorio di Napoli nel 1872, dove fu dichiarato idoneo sia alla composizione sia all’insegnamento. In quello stesso anno musicò in appena quattro mesi un’opera su libretto di Stefano Interdonato, “I Goti”, che fu rappresentata per la prima volta nel 1873 al teatro Comunale di Bologna, riscuotendo un successo strepitoso: Il giovane maestro balzò agli onori della cronaca, divenendo l’idolo della Bologna intellettuale, tanto da venire insignito del titolo di “cittadino onorario di Bologna”, come già era toccato a Verdi e a Wagner. Il trionfo fu però, come sempre, guastato dall’invidia e mentre Gobatti accompagnava la propria opera su e giù per l’Italia, rappresentandola addirittura alla presenza del re Vittorio Emanuele II, i rivali cominciarono a complottare contro di lui, impedendo la rappresentazione dell’opera in vari teatri e mettendolo in cattiva luce agli occhi di Verdi.
Il giovane maestro ricevette dalle mani del re l’onorificenza di “Cavaliere della Corona d’Italia” e la sua seconda opera, “Luce”, portata in scena per la prima volta nel 1875, fu un successo a Bologna, ma raccolse pochi consensi alla Scala di Milano.
Scritta una nuova opera, “Cordelia”, Gobatti la presentò al teatro Comunale di Bologna nel 1881, ma accortosi durante le prove che l’esecuzione era inadeguata, inviò al teatro una diffida giudiziaria nella quale riteneva responsabili dei danni coloro che volevano mandare in scena una rappresentazione destinata a cadere e così fu. Questo insuccesso ridusse in miseria il maestro, che trascorse i successivi dieci anni in solitudine, presso il monastero dei frati francescani dell’Osservanza, sulle colline bolognesi. Lì scrisse una quarta opera, “Massias”, rimasta inedita. Stefano Gobatti morì nel 1931, a 61 anni, vittima di una feroce invidia dalla quale non avrebbe potuto difendersi. Ancora una volta, niente di nuovo sotto il sole…
Si attende ora dalla critica contemporanea una revisione delle partiture di Gobatti che ne riconosca il valore.

Giro di giostra
Sul finire degli anni ’20, alcune famiglie bergantinesi trovarono un’alternativa all’agricoltura, che stava attraversando una fase di depressione, nell’intraprendere l’attività di esercenti dello spettacolo viaggiante. Allo stesso tempo, sorsero dei laboratori artigianali preposti alla fabbricazione di piccole attrazioni,tutte in legno, e spesso la figura del costruttore e quella dello spettacolista coincidevano.
Il passaggio al ferro come materiale principale, occorso dopo la II guerra mondiale, costituì un problema: nessuno era preparato a tale cambiamento e Bergantino rimase così tagliata fuori dalla costruzione per qualche tempo. Al contrario, il numero degli spettacolisti viaggianti crebbe considerevolmente. Gli anni ’50 segnarono una ripresa nella fabbricazione di attrazioni e a partire dagli anni ’60 ebbe inizio una vera e propria attività imprenditoriale nel campo della produzione di giostre, che circa vent’anni più tardi si sarebbe aperta al mercato internazionale, soprattutto americano. L’industria della giostra è attualmente una realtà produttiva completa, in grado di soddisfare tutte le richieste del settore. Per un piccolo paese non è certo poco.

Testo redatto e curato da Marina Gazzi di Melara (Ro), volontaria del Servizio Civile Nazionale presso il Comune di Bergantino all’interno del progetto 2008 “Animiamo la Biblioteca”

Bibliografia
– Silvestrini, Elisabetta; Ferri, Corrado; Zaghini, Tommaso, Gente del viaggio- Storie di vita, immagini e macchine degli spettacoli viaggianti di Bergantino, Patron Editore, 2000.
– A cura di Zaghini, Tommaso, Storia di Bergantino. Dalle origini al 1922.

Pagina aggiornata il 06/06/2024

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